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Una generazione senza Pensione

Aggiornamento: 22 mar 2022

Spesso sentiamo parlare in televisione o su internet della crisi dei sistemi pensionistici dei paesi del vecchio continente. Ma a cosa è dovuta questa crisi, e come possiamo porre rimedio ad essa come singoli individui?

La maggior parte delle economie avanzate europee presentano due caratteristiche allarmanti che mettono a rischio la sostenibilità dei propri sistemi pensionistici.

La prima caratteristica è che questi sistemi si definiscono, in scienze delle finanze,

“sistemi a ripartizione”, la seconda è il rischio demografico che ne consegue.

Questo sistema trasferisce tramite un patto intergenerazionale i contributi dei lavoratori attuali agli ex lavoratori ormai in pensione, una volta che i lavoratori attuali andranno in pensione saranno i loro figli a pagare le loro pensioni, e così via di generazione in generazione senza produrre accumulo di capitale nel tempo.

Nello scenario economico, politico e sociale in cui questi sistemi welfare sono nati, sembra una scelta razionale; infatti, l’INPS, istituita durante il ventennio fascista, ha dato per la prima volta la pensione ai reduci di guerra, agli operai e ai contadini non più in grado di lavorare. In quel periodo sia il regime fascista che quello nazista diedero una spinta propulsiva molto forte alla demografia dei loro paesi incentivando le famiglie con tanti figli e disincentivando gli scapoli e le donne nubili a rimanere tali. Questa spinta demografica portò il sistema italiano a reggersi sulle sue gambe sorretto dall’aumento della forza lavoro e dell’aumento dei salari, soprattutto nel secondo dopoguerra con le lotte sindacali che ovviamente portarono ad un aumento dei contributi da ripartire tra i pochi pensionati di allora, data la bassa aspettativa di vita e una popolazione tendenzialmente giovane. Il limite di questo sistema pensionistico come già detto in precedenza è il rischio demografico; infatti, il combinato disposto tra l’aumento dell’aspettativa di vita e la diminuzione delle nascite comporta nel lungo periodo un aumento dei pensionati e un abbassamento della forza lavoro, la quale si dovrà accollare per intero il sempre crescente numero di pensionati a libro paga.


Nel tempo le varie riforme Amato, Dini, Maroni, Fornero, hanno tentato di mettere un argine, limitando il reddito da pensione passando dal modello retributivo, basato sugli ultimi compensi, al sistema contributivo, basato sulla somma dei contributi versati, aumentando l’età pensionabile che attualmente è di 67 anni per gli uomini e 65 per le donne.

Ma tutto ciò non è sufficiente, perché oltre al problema demografico già descritto, il nostro

sistema economico soffre di un problema ben più grave ovvero la crisi dei salari, un giovane oggi guadagna il 3% in meno di un giovane nel 1990 in termini reali. Ciò significa che dei contributi su degli stipendi sempre più bassi non riusciranno nei prossimi anni a colmare del tutto i redditi da pensione dei futuri pensionati che saranno sempre di più e soprattutto vivranno sempre più a lungo.

La mia generazione, quella dei millennials, sarà costretta a lavorare fino a 70-75 anni ed a percepire un reddito da pensione non sufficiente a coprire il costo della vita, data la scarsità dei contributi versati, e la sempre più scarsa forza lavoro che pagherà la loro pensione.


L’unica soluzione che noi giovani abbiamo è crearci da soli, con i pochi risparmi che riusciamo ad accumulare facendo un po’ di economia, una piccola somma da accantonare ogni mese, a scopo previdenziale, investendo in un fondo pensione integrativo, che oltre ad offrirci dei vantaggi fiscali non indifferenti, ci permetterà di integrare l’esigua pensione INPS che andremo a percepire.

Per i più fortunati che riusciranno ad accantonare un capitale sufficiente per trascorrere una

vecchiaia serena, sarà possibile scegliere, tramite una pianificazione finanziaria accurata, anche quando andare in pensione.


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